LIVE NIRVANA INTERVIEW ARCHIVE February ??, 1994 - Seattle, WA, US

Interviewer(s)
Francesco Adinolfi
Interviewee(s)
Dave Grohl
Publisher Title Transcript
Il Manifesto Anatomia di un Nirvana punk – Intervista a Dave Grohl, batterista del gruppo di Seattle che suonerá in Italia dal 21 al 25 Yes (Italiano)

“A metà ottobre siamo partiti in tour. Abbiamo suonato per due mesi e mezzo negli USA e ora tocca all'Europa. Forse è stato il tour più bello. Anche perché adesso c'è il chitarrista Pat Smear”. Parola di Dave Grohl, batterista dei Nirvana. E siamo al 1994. Dopo 13 milioni di dischi venduti (tra Bleach, Nevermind, In Utero e qualche dozzina di collaborazioni qua e là) i Nirvana di Aberdeen (Seattle) sono diventati quattro. L'aggiunta di Pat Smear, infatti, formidabile chitarrista dei Germs, i Sex Pistols di Los Angeles nel '77, è ormai un dato certo. E sicuramente trasformerà il gruppo in un nuovo oggetto del “desiderio punk”.

Nel frattempo Dave Grohl è al telefono da Seattle e dalle sue parti sono le 5 di pomeriggio. Parte: “Come stai? Io bene”. Ma la facciamo in italiano l'intervista ? “No, no. Non lo parlo. E' solo che ho molti amici in Italia. Quando stavo con gli Scream ho suonato anche al Leoncavallo”. Dave ha esordito negli Scream, gli hardcorer punk di Washington e ha debuttato nel “nirvana” con Nevermind. Inoltre, è l'unico della band a non essersi fatto vampirizzare dai media. Insomma almeno Dave è salvo. “Perché non mi vedono quando suono – dice. – E per me è facile far parte dei Nirvana. Nessuno mi riconosce”.

Mica come Kurt, spolpato ormai da anni dai pettegolezzi di mezzo mondo. Linciato per droga, armi, riottosità domestica. Un copione identico a mille altre band in passato. Con l'unica grande differenza che Kurt e i Nirvana hanno aperto negli anni '90 nuove strade. Il loro successo ha stravolto le strategie di marketing e di reperimento artisti della discografia dominante contribuendo a ridiscutere il concetto di “alternativo”. Cos'è? Cosa è diventato? Un esempio: un tempo ci volevano anni prima che un gruppo (emblematico il caso Sonic Youth) potesse accedere ad una “major”, oggi ci sono almeno 30 band (dagli Afghan Whigs alle Luscios Jackson, da St Johnny a That Dog agli Urge Overkill – lasciando fuori buona parte del giro Sub Pop già “sistemato” da tempo) che sono già passati alla grande discografia.

In questo i Nirvana sono stati essenziali (o deleteri, dipende dai punti di vista); hanno spalancato le frontiere del nuovo capitalismo rock Usa. E hanno ridiscusso totalmente (in maniera quasi epocale) i codici dell'hardcore punk Usa anni '80 in cui si sono formati. Paradossalmente, cooptando Pat Smear, i Nirvana hanno anche annullato il senso di subcultura – enclave di adolescenti “separati” dai suoni dominanti – che quell'hardcore induceva. In questo i Germs furono più espliciti di tanti altri; una loro canzone si intitolava What We Do Is Secret (quello che facciamo è segreto), cioè è solo nostro. Con l'entrata di Smear nei Nirvana tutto inevitabilmente cambia. Tutto è diventato di tutti. Bene o male lo deciderà il tempo, che sia un dato culturale essenziale è però innegabile. Con i Nirvana si sono capovolti tutti i codici della sotterraneità Usa. Ed era inevitabilmente, in uno spirito del tempo in cui l'arte imita la morte, in cui gli Usa acclamano le rassegne fotografiche (“photo-death”), le nature “morte” infarcite di cadaveri del pittore Joel Peter Watkins e divorano guide al suicidio i Nirvana dovevano imporsi per forza: hanno scritto decine di pezzi pensando a Mtv; hanno scavato con il linguaggio nel torbido delle coscienze; hanno cantato gli Usa più terminali (stupro, alienazione, suicidio, morte).

La morte è la nuova estetica, e i Nirvana, consciamente o inconsapevolmente, ci si sono ritrovati in mezzo. Anche l'hardcore statunitense di inizio anni '80 aveva reagito, attraverso l' “oggetto morte”, in maniera oppositiva (con suoni, fatti e parole) al reaganismo. Cantava romanticamente la morte (emblematica fu l'overdose di Darby Crash, guarda un po' proprio il cantante dei Germs) e allo stesso tempo strizzava l'occhio alla vita. Lo faceva, però, in silenzio. E con grande ironia. E viene in mente What I see , pezzo storico dei Black Flag in cui Henry Rollins gridava: “Voglio vivere, magari fossi morto”. In questo l'hardcore Usa è stato determinante; a differenza del punk inglese dove la morte (non si dimentichi l'overdose di Sid Vicious) serviva a congelare l'adolescenza, lo spirito di un tempo. I Nirvana hanno portato in milioni di case i segreti/ossessioni dell'underground più terminale e inevitabilmente i media si sono accaniti su Kurt. Doveva aspettarselo Cobain.

-Cosa è successo, Dave?

C'è effettivamente una tendenza in atto che riguarda la musica. I Nirvana si sono ritrovati al centro di uno spostamento di significati. E forse l'hanno anche sollecitato. Noi, anche se subliminalmente, riflettiamo quello che ci succede intorno: guerre, terrorismo. Sono d'accordo riguardo al fatto che la musica pop stia diventando più oscura, più letale. I gruppi si sentono più a loro agio parlando di morte; perché la morte ha assunto un ruolo determinante. Niente è più sicuro, il sogno americano sta solo sopravvivendo. C'è l'aids dietro l'angolo. Voglio dire, siamo arrivati al punto in cui i mondi di sfacelo raccontati da Bukowski sono diventati la norma.

-Per questo allora i Nirvana si sono imposti?

Non so dire esattamente perché la gente è attratta dai Nirvana. Forse perché raccontiamo quel mondo descritto da Bukowski, perché diciamo cose che generalmente sono considerate tabù. C'è questa vibrazione oscura e perversa che circonda il gruppo. Di solito non parlo con la gente di queste cose, perché si tratta di un feeling comunicato o visivamente o musicalmente. So solo, però, che avviene. C'è una linea fatale/letale che ci unisce al pubblico.

-E' questo, allora, il vero ruolo dei Nirvana nella cultura popolare contemporanea?

Non è facile rispondere. Penso però che siamo diventati una band importante perché la nostra è una sfida. Perché per essere importanti devi spaventare la gente, a volte la devi disgustare, devi mettere in discussione alcune certezze e allo stesso tempo devi fare contento chi ti ascolta. E questo nel mondo dello spettacolo non avviene spesso.

-Come punk star doveste sentirvi molto responsabilizzati.

Intendiamoci. Nessuno di noi si aspettava questo successo. Anzi, avremmo preferito non averlo. Certo, adesso abbiamo imparato a convivere con quello che ci succede intorno. Sappiamo quello che la gente si aspetta da noi e quello che possiamo offrirgli. Quando Kurt scrive ci sono regole costanti che vengono tenute a mente. Ad esempio il rispetto per la donna, per i gay e i gruppi più discriminati negli Usa. Simpatizziamo per organizzazioni femministe come Women's action coalition. Krist è stato nella ex Jugoslavia e ha fondato la Women aid's fund per le vittime degli stupri etnici e sempre lui ha preso parte a varie campagne per la legalizzazione della marijuana. E poi suoniamo spesso per le campagne anti-aids.

-Vi disturbano mai i testi di Kurt?

Affatto. Anche se non è facile commentare sulle canzoni che scrive un altro. Devo dire che fino a pochi giorni fa nemmeno li conoscevo tutti i testi di In Utero. Una volta mi sono fermato a un semaforo, ho letto le parole di un pezzo e ho capito che dicevano l'esatto contrario di quello che pensavo. I testi del nuovo disco sono molto personali, riguardano la vita di Kurt, sono molto scuri, Però non bisogna nemmeno troppo prenderli alla lettera perché Kurt spesso ama le assonanze, unisce tra loro le parole e se i suoni funzionano ci fa un testo.

-Qual è il ruolo di Grohl nella band?

Posso dire che mi sento un po' la spina dorsale della musica dei Nirvana. Io sono quello che spinge al limite i brani, Io penso che la gente non si renda conto dell'importanza di un batterista. Perché spesso sono i batteristi che amano i batteristi. Io mi sono formato con John Bonham (Led Zeppelin), Earl Hudson (Bad Brains) e Dale Crover (Melvins). Kurt scrive grandi canzoni ma è la batteria a farle volare.

Perché c'era bisogno di Pat Smear?

Direi che il gruppo si trova oggi in una condizione ottimale. Quando è stato registrato Bleach (senza Grohl, con Chad Channing alla batteria) nessuno si attendeva nulla. Poi con Nevermind abbiamo venduto milioni di dischi. Ci abbiamo messo un po' ad abituarci. Ora siamo rilassati e Pat ci aiuta molto. Anche su In Utero avevamo usato più chitarre, tutte diverse tra loro e in molte canzoni. Sul precedente Nevermind invece, c'erano molte sovra incisioni e le chitarre avevano lo stesso suono. Ora Kurt potrà essere più rilassato, potrà cantare e muoversi sul palco con più libertà. Inoltre il suono è più pesante, più rotondo.

-Smear in un certo senso vi trasforma in “punk di ritorno” ?

Noi siamo cresciuti con gli anni '70 e con il punk. Ma un gruppo punk fa tutto in proprio, non si appoggia alle case discografiche. E mi riferisco a band come i Fugazi. Del punk noi abbiamo l'energia ma considero i Nirvana una rock'n'roll band che ama il pop.

-Dicono che farete un disco acustico?

Questa è un'ipotesi ma non la confermo. Dico solo che siamo già stati tre giorni in studio per scrivere qualcosa. Cominceremo a registrare in estate dopo il Lollapalooza Tour, che faremo, e dopo che mi sarò sposato! Al momento l'unica cosa acustica che abbiamo fatto è “Mtv unplugged” dove abbiamo suonato The Man Who Sold The World di David Bowie, un pezzo di Leadbelly e alcune cose dei Meat Puppets.

© Francesco Adinolfi, 1994