LIVE NIRVANA INTERVIEW ARCHIVE November 19, 1991 - Roma, IT

Interviewer(s)
Lucio Spiccia
Interviewee(s)
Kurt Cobain
Publisher Title Transcript
Ciao 2001 Atomic Yes (Italiano)

Un trio devastante e elettrizzante. Sono approdati ad una major e sono arrivati ai primi posti delle classifiche americane. Un hard blues melodico e potente. E intanto i tre trovano ancora il tempo di mettere KO le loro camere d’albergo...

ROMA

A guardare adesso la copertina di “Nevermind”, secondo album dei Nirvana, con quel bimbo nell’acqua che cerca di afferrare una banconota sembrerebbe proprio un segno premonitore, forse un sogno inconscio dei Nirvana stessi. Tutti i significati metaforici che quella banconota si porta dietro sono oggi diventati realtà, sono i vertici della classifica di Billboard dove i nostri sono in bella evidenza, sono MTV che trasmette in continuazione il loro video. I Nirvana ce l’hanno fatta, sono usciti dall’anonimato dell’underground, un successo improvviso, folgorante, non certo anelato però, perché la loro musica non l’hanno svenduta, l’hanno solo venduta ad una major come la Geffen, dopo averne smussato gli angoli più duri, et voilà, il gioco è fatto.

I tempi di “Bleach”, l’album d’esordio di due anni fa, quando i nostri facevano parte del contingente Sub Pop e di tutta quella scena che si stava sviluppando a Seattle sono, però, ancora dietro l’angolo. Kurt Cobain (voce e chitarra), Chris Novoselic (basso) e Dave Grohl (batteria) non sembrano ancora rendersi conto di quello che gli sta accadendo intorno, sono gli stessi pazzoidi giocherelloni che ho visto fracassare gli strumenti a conclusione di un concerto quelli che mi accolgono nella loro camera d’albergo sparandomi addosso con una pistola a ventose e aggrappandosi al lampadario e saltando sulle sedie. Dei tre quello che si dimostrerà più disposto al dialogo sarà Kurt.

Come ci si sente a stare ora nella grande macchina del business musicale?

Non lo so, è piuttosto piacevole. E’ piuttosto facile ignorare la maggior parte degli stronzi che ruotano attorno all’industria discografica e che dobbiamo incontrare e a cui dobbiamo stringer le mani, sai. E’ veramente facile dire solamente “Hey, ciao, come va?”e sentirsi rispondere “Avete suonato molto bene, è stato un ottimo show stasera”, e noi ancora: “Grazie, siamo contenti che vi sia piaciuto”. Non c’è alcun problema, sai.

Forse ora che siete nel tipico stile di vita del rock non vi piace più fare interviste...

Non mi è mai piaciuto farle, non è una cosa di adesso.

Ritenere allora che sia tutto uguale a prima, che nulla stia cambiando nella vostra vita...

No, non sta cambiando ancora nulla, perché eravamo in tour quando tutto questo è accaduto, sono tre mesi che siamo in tour. Il nostro manager ci ha chiamati al telefono e ci ha detto che “Nevermind” era al quarto posto di Billboard tutto qui. Non c’è nessuna differenza fondamentale per me, non ho ricevuto soldi dalla vendita dell’album. Siamo molto felici e siamo consapevoli che tutto questo non può durare a lungo, è qualcosa che noi non abbiamo mai cercato, e non sarà bello poi tornare con un’etichetta indipendente. Penso, comunque, che siamo sempre lo stesso gruppo, non stiamo facendo niente di diverso. Siamo negli stessi hotel di quando eravamo con la Sub Pop, mangiamo lo stesso cibo quando veniamo in Italia, suoniamo negli stessi locali di sempre, anche se adesso forse sono un pò più piccoli, infatti in tutti i concerti che abbiamo fatto in questo tour c’è stato il tutto esaurito.

Se questa è l’Europa adesso che tornerete negli Stati Uniti cosa vi aspettate di trovare?

Non lo so, non so proprio cosa aspetta mi. So solo che il nostro manager e i nostri amici ci hanno detto che siamo ininterrottamente su MTV e che il disco sta vendendo moltissime copie. Non ho nessuna idea per il futuro. Forse scriverò altre poesie, continuerò a scrivere canzoni e a collaborare con alcuni amici. Per quanto riguarda il gruppo è molto difficile cercare di predire il futuro e quello che faremo.

Hai detto che forse scriverai altre poesie. E’ un genere che ti interessa?

Mi piace scrivere poesie e mi piace leggerle. Mi piace molto, ma non ho in realtà un poeta preferito. Mi sono tenuto volutamente lontano dall’essere influenzato da qualsiasi poesia, anche se ho la possibilità di leggere molto. Ma non mi piace farmi influenzare, proprio perché scrivo per il mio piacere e mi piace farlo dopo uno show, sai, quando sono in una camera d’albergo, ed è molto divertente, è come una specie di cruciverba. E se qualche persona volesse un giorno stampare quelle cose che scrivo, non sarebbe una buona cosa, perché provo già abbastanza piacere così, è una specie di cosa personale, è una cosa ricreativa. Ho letto in modo superficiale la maggior parte dei poeti più popolari e in realtà non provo interesse per nessuno, cioè, mi piace la poesia e ho molto rispetto per ogni poeta, ma voglio evitare di rimanere influenzato da qualcuno. Non voglio essere influenzato da nessuno perché voglio provare a sviluppare un mio stile personale, senza avere alcuna idea di quello che si ritenga veramente tipico della poesia, perché penso che la poesia non dovrebbe avere alcuna definizione, sai. E’ qualcosa da fare quando sarò vecchio (ride).

Questo tuo amore per la poesia influenza in qualche modo anche le canzoni che scrivi?

No, in realtà. Sono stato influenzato dalle cose che ho letto, ma non mi sento schiavo di quelle. Non penso che la mia musica, le mie canzoni siamo ispirate da qualcosa che ho letto, sai. I miei testi sono frammenti dei miei poemi, sono versi delle mie poesie. A volte non ho alcuna idea di quello che sarà il soggetto finché la canzone non è finita. Ho sempre scritto, anche prima di formare il gruppo, me ne stavo nella mia stanza e scrivevo cose, leggevo cose, guardavo la televisione, ascoltavo musica.

Ti sentivi solo?

Era un modo per evadere da ciò che mi stava intorno, per scaricarmi.

Ora invece per scaricarti preferisci rompere gli strumenti durante i corcerti...

Rompere le chitarre? E’ divertimento. A volte siamo arrabbiati, a volte siamo felici, non c’è nessuna ragione, è divertente, è qualcosa da fare. Io non ho alcun rispetto per le chitarre, penso che sono solo dei pezzi di legno, io non sono come molta gente che lucida le sue chitarre e che le usa come uno strumento da venerare. Sono solo pezzi di legno e niente di speciale per me.

Non pensi, però, che forse inconsciamente con questo comportamento stiate ricalcando un ribellismo morto negli anni ‘60...

Non ho mai seguito l’atmosfera degli anni Sessanta. Penso che nel rock di quel periodo c’era uno spirito privo di nerbo, era molto innocente e la gente stava pensando solo a cercare di oziare in coppia. Noi siamo più vicini, semmai, ad un feeling come quello che c’era a Berkley nel ‘79. Mi ricordo infatti di un nostro concerto dove i buttafuori erano tutti delle teste di cazzo e stavano picchiando dei ragazzi del pubblico. Abbiamo allora fermato i buttafuori e dato il microfono ad uno di loro e gli abbiamo chiesto perché stesse facendo quello ai ragazzi, e lui ha risposto che stava facendo il suo lavoro. A quel punto allora ho detto a tutto il pubblico di salire sul palco e di rilevare i buttafuori. Il pubblico ha recepito ed è iniziata una specie di danza e di divertimento, e i buttafuori se ne sono andati nel backstage del locale. Abbiamo sconfitto i buttafuori ed è stato veramente divertente, e così c’è stato come uno spirito rivoluzionario quella notte. Se fossi stato un teenager nei ‘60 mi sarebbero piaciuti gruppi come gli Stooges e i Blue Cheer, e avrei odiato i Cream, sai, e la maggior parte dei gruppi che erano nei Top 40, erano merda.

© Lucio Spiccia, 1992