LIVE NIRVANA INTERVIEW ARCHIVE February ??, 1994 - Seattle, WA, US

Interviewer(s)
Paolo Scarpellini
Interviewee(s)
Krist Novoselic
Publisher Title Transcript
Panorama Ti spacco il grunge Yes (Italiano)

Sound anni 70 e nostalgia dell'età hippy. Con questi ingredienti i tre di Seattle hanno creato una moda. Che ora gettano alle ortiche.

«Grunge is dead», il grunge è morto. La notizia ha fatto il giro degli Stati Uniti per due mesi di fila: ogni sera, davanti a decine e decine di migliaia di fan osannanti, in tutte le arene dove si esibivano i Nirvana. Erano proprio loro, i capostipiti del movimento grunge, a portare stampato il necrologio sulle magliette indossate ai concerti, E lo stesso faranno durante la prossima tournée europea, iniziata il 6 febbraio in Portogallo e che approda in Italia per quattro attesissime date, dal 21 al 25 febbraio, a Modena, Roma e Milano.

L'idea della T-shirt è solo l'ultima in ordine di tempo. Ma per seppellire definitivamente la più nuova delle religioni rock da loro stessi predicata i Nirvana avevano fatto finora di tutto. Scavando a fondo nel tunnel dell'eroina, come ha ammesso pubblicamente il leader, Kurt Cobain, per demolire quell'immagine spensierata e modaiola del grunge proposta dalla stampa e dal cinema. Gettando alle ortiche le amate camicie di flanella da quando stilisti di grido come Ralph Lauren, Donna Karan o gli italiani Dolce & Gabbana hanno sposato entusiasti la causa neohippy. E, dulcis in fundo, pubblicando quattro mesi fa un album come In Utero: molto più sporco e punk del precedente Nevermind, il disco della rivelazione grunge da 10 milioni di copie. Un album, l'ultimo, particolarmente gonfio di suoni incon- trollati e testi disperato-nichilisti: «Temi che danno finalmente voce ai sogni, alle paure e alle ire di un'intera generazione» ha esclamato ammirata la rivista Rolling Stone. E le vendite totalizzate finora da In Utero, 5 milioni di copie, confermano.

Da quando poi i Nirvana hanno raggiunto una fama pari a quella degli U2 o dei Guns N'Roses, la loro chiusura a riccio nei confronti della stampa è stata quasi impenetrabile. Con qualche rara eccezione: l'ultima oggi, alla vigilia del tour italiano, con questa esclusiva intervista concessa a Partoranma dal bassista del gruppo, Krist Novoselic.

Domanda. Se il grunge è morto, voi a quanto pare conoscete bene l'assassino…

Risposta. Sì, ma niente conclusioni affrettate: noi ci limitiamo a testimoniare un dato di fatto. Gli assassini veri sono tutti quegli avvoltoi che hanno visto nel presunto movimento grunge il modo di fare tanti soldi e in fretta. Cioè i mass media che hanno buttato in un unico, enorme calderone musica, abbigliamento, stile di vita, la città di Seattle, gruppi come noi, i Pearl Jam o gli Alice In Chains. La cosa prima ci ha sorpreso, poi amareggiato: non è così, con questa filosofia irreggimentata, che noi viviamo o vediamo il mondo.

Di che cosa, esattamente, accusate i mass media?

Ai mezzi di comunicazione piace lanciare le mode, fare pettegolezzi, frugare nella spazzatura. Per esempio descrivere nei minimi dettagli, il più delle volte inventati, come c quanto si drogavano Kurt Cobain e la sua compagna, dipinti ormai come l'ultima delle coppie maledette del rock. È inevitabile: il consumato e romantico cliché della rockstar alle prese con l'eroina, vedi Keith Richards dei Rolling Stones, vende sempre. E così è stato automatico rispolverare anche per i Nirvana il fottuto detto: «Sesso, dioga e rock'n'roll».

Qualcosa in contrario?

Qualcosa? Tutto! Primo, perché questo vuol dire associarci a gente come i Guns N'Roses e alla loro fottuta vita da rockstar: limousine, aerei privati, guardie del corpo, camere d'albergo fatte a pezzi, donne, whisky, armi e droga a volontà, Mi spiace, noi non siamo così: al contrario, siamo Lutti monogami e felicemente sposati o quasi, e la cosa non ci impedisce di simpatizzare per gay, femministe e antirazzisti. Seguiamo diete strettamente vegetariane, aderiamo alla causa ecologica, al whisky preferiamo la birra. È non spendiamo certo i nostri guadagni in auto, jet o ville miliardarie. Per quanto riguarda la droga, è un problema personale di Kurt, dal quale fra l'altro è uscito proprio di recente.

Ma sono poi così detestabili i Guns N'Roses? Per i fan rappresentano l'ultimo simbolo del rock…

Sì, ma del più vecchio e classico modo di intendere il rock: la stessa scuola di pensiero dei Rolling Stones, dei Led Zeppelin. Non per niente i Guns vengono dal Sunset Boulevard di Los Angeles, dove il cinema è di casa, mentre noi proveniamo dalle zone forestali dello Stato di Washington, non so se mi spiego. E i Led Zeppelin non ci sono mai piaciuti: siamo cresciuti ascoltando gruppi punk americani poco conosciuti, Flippers o Black Flag, assorbendo i loro ideati più anarchici e nichilistici.

Lei, Novoselic, è di origini croate. Per questo ha mostrato più volte attenzione, anche in concerto, alla situazione nella ex Jugoslavia?

Io sono nato in California, ma i miei genitori in Croazia. E là ho diversi parenti. Sono loro a descrivermi gli effetti praticamente nulli di ogni accordo diplomatico: a questo punto, non credo più possibile una soluzione politica. Nel mio piccolo però mi do da fare ugualmente: coi Nirvana e altre band ho già organizzato a San Francisco un concerto di beneficenza a favore delle donne bosniache stuprate, e conto di allestirne altri in futuro.

Ma servono ancora queste mani. festazioni, eventi come Live Aid?

Se la speranza è risolvere di botto, con un solo concerto anche visto da milioni di persone in tv, pesanti situazioni politico-sociali, la risposta è sicuramente no. Siamo realisti: come musicisti, possiamo al massimo spendere due parole al microfono, raccogliere un po' di soldi e divertire per un'oretta gli spettatori. Non ho mai creduto al potere taumaturgico di questi eventi: Live Aid per esempio era una colossale boiata. Pieno di rockstar grasse e ricche, felici solo di fare la passerella per una giusta quanto improbabile causa.

Qual è allora il vostro messaggio per la generazione post-grunge?

Liberate le vostre coscienze, dubitate delle ideologie. non sottoscrivete opinioni a scatola chiusa. In tempi come questi, è l'unica cosa che ci sia rimasta da fare.

© Paolo Scarpellini, 1994